Li ho visti ieri sera.
Erano cinque, tra ragazzi e ragazze. Stavano al parchetto vicino a casa mia, fumavano, ridevano, con in sottofondo una radio accesa. Ed avrei voluto avvicinarmi e dir loro Siete consapevoli di star ascoltando musica di merda? Lo sapete che esistono i vari De Gregori, Guccini, De Andrè (Dio De Andrè!), Branduardi? No perché sto schifo portoricano mi fa sanguinare le orecchie.
Leggete un libro capre.
Aprite un giornale che dopodomani sarà il vostro turno di votare e chissà per chi esprimerete una preferenza.
E poi l’ennesima ruga nuova è comparsa sulla mia faccia di quasi trentenne. Era la ruga del Fatti i cazzi tuoi, cretina.
Perché io non ho un grillo parlante interiore, c’ho le rughe nuove che spuntano quando dico minchiate. Sono le rughe della vergogna.
Ne ho collezionate un sacco in questi anni e guardandomi allo specchio dovrei essere così saggia da ammirarle e non dirle più, le minchiate. Dovrei pensare prima di parlare, come mi ha sempre consigliato la mia mamma.
Perché io, a quell’età andavo al patronato con la mia amica F.
Passavamo i pomeriggi a capire come si dovesse limonare.
Salivamo su motorini sconosciuti in 2. A volte in 3. Più che motorini erano scuola bus.
E mai col casco. Perché eravamo immortali, a 14 anni. 
Una volta abbiamo fatto l’autostop. Ci hanno caricato dei ragazzi più grandi e qualcuno dall’alto ci voleva un gran bene.
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E non ascoltavo De Andrè, perché era il cantante preferito di mio padre. Ovvero musica da vecchi.
Però mi sparavo Torn in loop etremi, perché Natalie Imbruglia sì che era figa.
E le gite. Penso al ragazzo della mia città, di Padova, che è caduto dal balcone, i compagni ubriachissimi, lassativi nei cocktail. E penso che siano degli imbecilli, che ridursi così proprio non fosse il caso.
Noi invece in gita eravamo bravi. Tutti in camera propria alle 10.
Ed eccola la ruga della vergogna.
Perché io in gita mi infilavo nelle camere di tutti, e si parlava e si urlava fino all’alba, le fughe in discoteca, che tanto non ci avrebbe beccato nessuno, le occhiaie del giorno dopo, chissenefrega delle occhiaie quando hai passato una notte così. E poi chissenefrega anche dei monumenti, mica si va in gita per visitare l’ennesima chiesa romana.
E li vedo i giovani d’oggi, che quando parlo di loro mi sembra di avere cent’anni e insomma li vedo i giovani d’oggi con le cuffie giganti e la voglia di non parlare con nessuno.
Li scruto quando sono in branco, mentre ridono con tutti e allora capisco che sono semplicemente fragili e timidi, come lo eravamo noi, solo che noi abbassavamo le sguardo, mica ci schermavamo con aggeggi che ci aiutassero.
Beati loro che possono vestirsi di maschere e nascondere le debolezze che noi abbiamo dovuto mostrare a tutti e far finta di amarle, maledette debolezze.
E le vedo le ragazzine di ora, che piangono per una tinta venuta male, cazzo piangi scema, che ci sono persone che non trovano lavoro, altre che si ammazzano, altre che vivono in macchina, altre che hanno figli gravemente disabili, altre ancora con i figli non parlano più, non le capisci le priorità?
Come se a 15 anni fossero queste le priorità. Come se noi ne avessimo avute di diverse.
E inorridisco davanti alle teenager vestite come adulte e mi vengono in mente i cambi d’abito negli ascensori, la palette di trucchi nascosta nell’astuccio e l’ombretto messo a cazzo di cane tra l’ora di italiano e quella di storia. Perché voler essere grandi, era ed è ancora una virtù. Che si racconta attraverso i colori della curiosità.
Abbiamo passato gli anni a metterci rossetti rossi per far finta di essere in età da patente e gli anni successivi a pregare che non ci dessero trent’anni.

E allora penso che non esistano generazioni giuste o sbagliate.
Esistono giovani che si assomigliano un po’ tutti, con quell’arroganza, quella voglia di cambiare il mondo, quell’innocenza che sai che entro 10 anni scomparirà, alla prima firma del mutuo, al primo stage non pagato, alla prima delusione d’amore.
E le guardo e un po’ le invidio, loro che si disperano per un ragazzo che non contraccambia una cotta, perché mi ci sono disperata anch’io e pazienza se da grande ho dei motivi per non dormire di notte, perché neanche a 14 anni dormivo di notte. Per una cotta non ricambiata.
E a 14 anni, una cotta non ricambiata è l’unico motivo valido per disperarsi. 
Ed è giusto così.

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